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Procedimento | Corti d'Assise Straordinarie

Corte di Assise - Sezione Speciale - Bologna, sentenza 178 del 1946-08-29

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Sezione 1 - Organo giudicante
Autorità giudiziaria: Corte di Assise - Sezione Speciale - Bologna
Composizione del collegio

Presidente: Luigi Chiarini
Consigliere: Giuseppe Torri
Giudici popolari: Ferruccio Marchesi, Alfredo Berti, Michele Imbergamo, Renzo Bonomi, Deodato Grandi.
Procura


N. fascicolo: Reg gen 34/946

Sentenza: 178
Data: 1946-08-29
Sezione 2 - Fatti contestati

  1. Tipologia: Imputazione di ruolo,Omicidio,Persecuzione politica,Repressione antipartigiana
    Data inizio: 08 / 9 / 1943
    Data inizio: 25 / 4 / 1945
    Luogo: Perugia; Novara; Brescia; Bologna
    Descrizione: Imputato per avere nelle province di Perugia, Novara, Brescia e Bologna appartenuto al Pfr, alla Gnr col grado di Tenente Colonnello e per aver rivestito la carica 1) Comandante della zona militare di Perugia dalla metà settembre al 24 ottobre 1943, 2) Prefetto di Perugia dal 25 ottobre 1943 alla fine del giugno 1944, 3) Capo del Quartier Generale del ministero degli Interni a Maderno dal luglio all’agosto 1944, 4) di Commissario Straordinario per l’Emilia e la Romagna on sede a Bologna dal 27 agosto 1944 al 25 aprile 1945, e per avere nelle predette sue cariche e valendosi dell’autorità che gliene derivava, 1) Favorito le operazioni militari del tedesco invasore disponendo numerosi rastrellamenti di partigiani e di renitenti che tali operazioni ostacolavano, capeggiando personalmente molti rastrellamenti in cui i catturati furono trucidati; instaurando tribunali speciali per la condanna di patrioti, renitenti arrestati e opponendosi a che fosse concessa la grazia ai condannati alla pena capitale, 2) Favorire i disegni politici dei tedeschi a) valendosi di ogni mezzo a sua disposizione per indurre i cittadini ad obbedire agli ordini del nemico consegnando quanto loro veniva rinvenuto in merci, viveri in affetti vari ecc, b) dando e facendo dare ai tedeschi indicazioni atte a commettere soprusi e angherie, c) mettendosi a disposizione dei comandi tedeschi per facilitare ogni loro disegno di depauperare i territori che occupavano; d) per avere svolta e fatta svolgere attivissima propaganda per le iscrizioni al Pfr sia con opera di minaccia che di persuasione, disponendo conferenze e cortei a carattere intimidatorio e propagandistico, esercitando pressioni di ogni genere sugli impiegati statali per il giuramento di fedeltà alla Rsi; e) Per avere svolta la stessa e anche più violenta opera di propaganda e di pressioni intimidatorie per la presentazione di giovani alle leve repubblichine fasciste per il servizio militare e del lavoro. Specificatamente: 1) Per avere il 10 giugno 1944 quale capo della Provincia di Perugia usato minacce con armi al Direttore delle carceri giudiziarie Antonio Paolo Rosso e al capo guardia Florestano Cailli, per costringerli a consegnare il detenuto Mario Ponzio, denunciato al Tribunale Speciale in concorso con Giorgio Meschi e Antonio Loredan, 2) Per avere in concorso con Meschi Giorgio, quale capo della provincia, cagionato a colpi di rivoltella a Perugia il 10 giugno 1944 la morte di Mario Tomaio, per il motivo che questi era avversario della repubblica fascista, 3) Per essersi a Perugia fra il 20 gennaio e il 10 giugno quale capo della provincia avendo per ragioni di tale ufficio il possesso della somma di lire 200mila depositata in c/c a lui intestato presso la Cassa di Risparmio di proprietà dello Stato, appropriato, con più azioni esecutive dello stesso disegno criminoso di tale somma; 4) per avere in correità con Eugenio Perucatti, Rosario Visalli e Piccardi Vincenzo, quale Capo della Provincia costretto con minaccia il direttore della Cassa di Risparmio a consegnare dei gioielli della cittadina american Ethen Netcher, di ingente valore imprecisato, procurandosi con essi ingiusto profitto in danno di essa, questo a Perugia il 16 giugno 1944; 5) Per essersi in concorso con Pasquina Alunno e quale capo della provincia di Perugia, in epoca anteriore e prossima al 16 giugno 1944, appropriato di argenteria, biancheria, un apparecchio radio e altri effetti mobiliti appartenenti allo Stato e dei quali aveva il possesso in quanto arredanti l’appartamento del Prefetto da lui occupato, procurandosi ingiusto profitto; 6) Per avere a Perugia, il 16 giugno 1944 in concorso con Giuseppe Vitalesta, mediante minaccia fatta da alcuni militi ed ufficiali armati della Gnr, costretto il direttore della Banca d’Italia a versare alla milizia della strada, alla federazione dei fasci repubblicani e alla unione provinciale industriali di Perugia la somma complessiva di lire 1.809.640 procurandosi così a tali enti ingiusto profitto di essa; 7) Per avere l’11 giugno 1944 a Perugia in concorso con Andrea Grisolia, Vincenzo La Torre, Michele Avallone e altri (illeggibili) con abuso della sua funzione di Capo della Provincia costretto mediante minaccia il direttore della Banca d’Italia di Perugia a consegnarli in danno dello Stato la somma di due milioni di lire procurandosi così un ingiusto profitto; 8) Per avere partecipato ad un rastrellamento diretto alla cattura di alcuni patrioti asserragliati nella “Villa Santinelli” in frazione S. Pietro a Monte in Città di Castello il 9 maggio 1944; 9) Per avere nelle sopraddette circostanze di tempo e di luogo con premeditazione in concorso con altri a colpi di arma da fuoco, cagionato la morte di 9 patrioti per il motivo abbietto di indurre cittadini italiani a prendere le armi contro la Patria, 10) Per avere in Perugia in epoche imprecisate tra il novembre 1943 e il giugno 1944 ordinata la costituzione di tribunali straordinari che condannarono alla fucilazione 7 giovani renitenti alla leva, 11) per avere nella seconda decade di settembre 1944 a Bologna ordinata la convocazione di un tribunale militare straordinario di guerra, per giudicare il patriota Massenzio Masia e altri 7 compagni di fede, e per essersi opposto a che fosse concessa la grazia a seguito della condanna capitale ad essi inflitta da detto Tribunale; 12) Per avere a Bologna il 26 settembre 1944 a successivamente dato disposizioni ai capi provincia dell’Emilia e Romagna per il trasferimento nell’Italia Settentrionale di preziosi e valori delle Banche; 13) Per avere in Bologna il 28/12/1944 ordinato al capo della provincia di Modena la convocazione di un tribunale militare di guerra straordinario che doveva giudicare i sacerdoti Don Silingardi e Don Beccari arrestati sotto la imputazione di attività sovversiva e favoreggiamento di bande armate; convocazione che non fu poi effettuata per ragioni indipendenti dalla sua volontà; 14) Per avere in Bologna il 16 settembre 1944 richiesto al generale tedesco Steinbach di presidiare colle sue truppe sessanta località della provincia di Bologna rendendosi così complice delle innumerevoli angherie, atrocità, spoliazioni, devastazioni da costoro commesse durante la loro lunga occupazione; 15) per avere da Bologna il 18 febbraio 1945 inviato un telegramma al ministro Buffarini per il Duce per chiedere truppe per debellare formazioni partigiane che nella bassa modenese distribuivano viveri alla popolazione civile. 16) Per avere a Bologna il 30 settembre 1944 dato ordine che fosse processato il partigiano Enrico Figliocchi arrestato a Piacenza e ciò per ritorsione all’attività partigiana; 17) Per avere a Bologna il 5 marzo 1945 ordinato al Questore di Modena che l’ex guardia di polizia Luciano Zocca catturato per diserzione fosse tenuto a disposizione per eventuali rappresaglie se fosse avvenuta uccisione di fascisti, 18) Per avere il 3 aprile 1945 richiesti al Comando Provinciale della Gnr di Ferrara provvedimento a carico del comandante di un reparto che non aveva passato per le armi due partigiani che erano stati arrestati dubito dopo l’uccisione di un sottufficiale della Gnr e il ferimento di una donna; 19) Per avere a Bologna in data 25/09/1944 invitato il capo della provincia di Bologna a disporre perché tutti i condannati politici detenuti nella Carceri della provincia di Bologna fossero fatti trasferire in Germania; 20) Per avere nell’ottobre 944 a Reggio Emilia fatto arrestare e denunciato al Tribunale Militare Straordinario il Procuratore del Re Ennio Maniga, fungente da Direttore delle carceri giudiziarie e vari agenti di custodia, sotto l’imputazione di correità con partigiani per l’avvenuta evasione di circa 40 detenuti politici; 21) Per avere nel dicembre 1944 in Reggio Emilia denunciato al Tribunale Militare Straordinario i partigiani Zanti, Calvi, Iovi, Cigarini, Ferrari e Brandi, che condannati a morte, cinque ottennero la grazia e lo Zanti subì la pena capitale; 22) per avere nel gennaio 1945 a Reggio Emilia ordinata la fucilazione di 4 partigiani che si trovavano detenuti per motivi politici nelle carceri giudiziarie e ciò per rappresaglia in seguito al ferimento di agenti di PS di servizio alla sede del Commissario Straordinario, 23) Per avere nel marzo 1945 a Reggio Emilia concordato col comandante della brigata mobile Franz Pagliani, l’effettuazione di rastrellamenti nella zona che provocarono molte vittime nei partigiani specie in territorio di Reggiolo; 24) Per avere il 7 marzo 1944 in frazione Doglio (Monte Castello di Vibio, nei pressi di Todi), ordinato la fucilazione di certo Mariotti Pietro che era stato trovato fuori della propria abitazione con un fucile da caccia; 25) per avere nelle sopraddette circostanze di tempo e di luogo ordinato l’arresto di Don Patrignani Gerardo, parroco di Doglio per non aver fatto propaganda tra i contadini a favore del fascismo e per aver dimostrato di essere contrario ai sistemi brutali di Rocchi stesso; 26) Per avere il 15 febbraio 1944 a Perugia ordinata la fucilazione del sergente Marcello lisa che aveva abbandonato il 102 Btg. CCNN dislocato in zona di impiego, e circolava armata; 27) Per avere in Cesi di Serravalle (Camerino), il 14 marzo 1944 comandato un rastrellamento di renitenti alla leva e ordinata la fucilazione di 4 catturati; 28) Per avere il 15 ottobre 1943 ordinato l’arresto in Orvieto del Tenente Colonnello Alessandro Marino che rimase in carcere 45 giorni sotto l’accusa di antinazifascismo; 29) Per avere l’1.4.1945 dato l’ordine di evacuare i degenti nell’ospedale di Alfonsine, minacciato d’arresto chiunque si fosse opposto all’ordine stesso e senza predisporre mezzi adeguati di trasporto e di ricovero; ordine intempestivo e ineffettuale che fu revocato dal comando tedesco. Rientrano nella collaborazione militare le imputazioni ai numero 8-8-10-11-15-21-26-27, tutti gli altri vanno posti invece nel quadro della collaborazione politica: mentre i primi erano evidentemente retti a combattere direttamente o indirettamente i partigiani, e conseguentemente a favorire le operazioni militari del nemico, i secondo non avevano in sostanza altra finalità all’infuori di quella di consolidare la fazione politica dominante e di favorire di conseguenza i disegni politici del tedesco invasore. L’imputato ammette quasi tutti i fatti ma nega di aver dato ordini perché venisse processato il partigiano Enrico Figliocchi, così come nega di aver ordinato per rappresaglia la fucilazione di quattro partigiani detenuto nelle carceri di Reggio Emilia, attribuendo questa iniziativa al comando tedesco precisando che quando l’esecuzione era avvenuta si trovava a Maderno e che soltanto al suo ritorno a Bologna era stato informato dalla sua dattilografa dell’avvenuta fucilazione. Contesta anche di aver ordinato a Pagliani di effettuare i rastrellamento a Reggiolo. La corte osserva in effetti che non ci sono prove decisive che mostrino gli ordini a Pagliani. Su ciò che riguarda il fatto al n.19 Rocchi afferma che effettivamente in un primo momento aveva trovato la proposta di trasferimento in Germania dei vari condannati politici a pene lievi accettabile e aveva fatto predisporre una circolare ma in un secondo momento di aveva ripensato perché non si fidava dei tedeschi e aveva deciso di stoppare la circolare. Queste affermazioni sono confermate da Elena Migni, la dattilografa. Nega anche, Rocchi, di aver ordinato l’arresto del T. Colonnello Marino, asserendo che questo ufficiale era stato fatto arrestare dai tedeschi, perché aveva tentato di impadronirsi con la violenza di un’auto ambulanza tedesca. Non riuscendo a rintracciare il Tenente Colonnello Marino, la Corte ritiene quindi di non avere elementi sufficienti per ritenere senz’altro l’imputato responsabile del suo arresto. Durante il dibattimento risulta che Rocchi effettivamente cercò di agire anche contro i responsabili dell’eccidio di piazza VIII Agosto, che riteneva appartenenti alla Gnr, è vero che informò subito del tragico fatto il governo usando parole forti contro coloro che avevano instaurato simili metodi delittuosi, ma se ciò può far pensare che realmente il suo comportamento rigido e spietato, in occasione del processo Masia, sia stato determinato dalle direttive impartitegli da Mussolini, ciò non elimina né attenua il reato di collaborazione che anzi si sostanziava e si concretava appunto nell’agire secondo le prescrizioni e le direttive di quel governo illegale che cercava col terrore di mantenersi in vita e di consolidare il suo potere. Ai capi di imputazione 3-4-5-6-7-12 si fa carico invece al Rocchi di essersi appropriato di somme che gli erano state affidate per ragioni d’ufficio. Rocchi ammette tutti i fatti e sull’ultimo però sostiene che non aveva fatto altro che eseguire le direttive date in proposito dal governo. Inoltre sostiene che i soldi che si era fatto consegnare servivano unicamente per pagare stipendi, gratifiche ed emolumenti a enti e impiegati così come a privati (sfollati, profughi ecc). Sui gioielli della cittadina americana, se li era fatti consegnare prima di andarsene da Roma per depositarli in luogo segreto (come fece) ed evitare che cadessero in mano tedesca, e la stessa cosa aveva fatto con l’argenteria della prefettura, che aveva depositato in un luogo sicuro a Novara, tranne una parte che aveva portato con sé a Reggio Emilia per la propria mensa, quando era stato nominato commissario per l’Emilia e la Romagna. Di tutte le somme spese era stata tenuta una regolare contabilità, mercè la quale avrebbe potuto agevolmente dimostrare come egli non si fosse approfittato di una sola lira. I gioielli dell’americana erano poi stati ritrovati e restituiti alla proprietaria. L’argenteria era finita in parte in mano ai partigiani parte in mano tedesca ed ignorava quale fine avesse fatto. Le asserzioni di Rocchi sono state confermare dal testimone Enzo Cadovini e in parte hanno trovato conferma documentale. Si deve quindi escludere, nei confronti di Rocchi, l’esistenza di reati contro il patrimonio; resta però il modo arbitrario e violento col quale si fece consegnare cose e denari, in vista ed in considerazione dell’avanzarsi e dell’approssimarsi dell’esercito alleato, ma sotto questo aspetto il suo comportamento può essere inserito nel quadro della collaborazione, in quanto mirava, in sostanza ad impedire che cose e persone, e specialmente ricchezze cadessero nelle mani degli alleati. A giudizio della Corte non costituisce reato e tanto meno il reato di collaborazionismo, il fatto al numero 29. È probabile e verosimile che l’ordine dato dal Rocchi di evacuare l’ospedale di Alfonsine fosse inopportuno, pericoloso e inattuabile, per mancanza di adeguati mezzi di trasporto e di ricovero, non è inverosimile che l’imputato, avendo trovato delle resistenze nel personale sanitario, abbia fatto o fatto fare, delle minacce ma non si vede qual recondito fine avrebbe potuto muovere Rocchi nello stabilire l’evacuazione all’infuori di quello di dare una più conveniente sistemazione ai ricoverati. Certo la disposizione non poteva essere stata data col proposito di giovare ai tedeschi, tanto vero che furono proprio questi ultimi che la revocarono. Stabilita la responsabilità del Rocchi in ordine alla imputazione di collaborazione militare e politica e di concorso in omicidio, resta da vedere, secondo la tesi avanzata dalla difesa, se al medesimo debba essere riconosciuto il vizio parziale di mente e se quindi possa essere concessa la diminuente di cui all’art. 26 del codice penale militare di guerra e se appaia meritevole delle attenuanti generiche. La difesa mostra due certificati redatti dal prof. Jedloski e dal dr. Bernardi nei quali si afferma che Rocchi è affetto da nevrastenia grave. La Corte sospende per due volte il dibattimento nei limiti dell’Art. 431 per disporre perizia psichiatrica ai sensi dell’art. 455 del CPP, affinché il perito, nella persona del prof. Bonazzi, docente di psichiatria e vice direttore del manicomio di Bologna, avesse modo di visitare a studiare Rocchi. Bonazzi, fatte le sue valutazioni, sostenne però che al momento di compiere gli atti imputati, Rocchi fosse nel pieno delle sue capacità di intendere e volere. Nonostante la difesa cerchi in tutti i modi di dimostrare anche la parziale incapacità mentale di Rocchi la Corte non ritiene di concedere le attenuanti per vizio di mente né le attenuanti generiche. Nei confronti di Rocchi deve oltretutto essere ordinata la confisca dei beni, confisca che si ritiene di fissare per due terzi per non lasciare la sua numerosa famiglia del tutto priva di mezzi di sostentamento. Passando all’applicazione della pena, ritiene la Corte di dove infliggere al Rocchi: 1) la pena di morte mediante fucilazione alla schiena, ridotta ad anni 20 di reclusione per l’art. 26 cpmg pel delitto di collaborazione militare; 2) La stessa pena con la medesima riduzione per collaborazionismo politico date le gravissime responsabilità assuntesi dal Rocchi quando ricopriva le cariche di capo-provincia e di commissario straordinario regionale; 3) la pena dell’ergastolo ridotta anni 20 di reclusione per l’omicidio premeditato in danno del Tomsich; 4) la pena stessa, con la stessa riduzione per l’omicidio in danno del Mariotti, in cui ricorrevano gli estremi dell’aggravante di cui all’art. 61 n.4 Cp, 5) la pena di anni 24 di reclusione ridotta ad anni 16 per l’omicidio in danno del lisa. Fatto il cumulo a norma di legge si ha in concreto la pena di anni 30 di reclusione, la quale deve essere diminuita di un terzo e quindi ridotta a 20 anni, ai sensi del DL 22 giugno 1946 n.5 art. 9. Armando Rocchi è quindi condannato a 20 anni di carcere e alla confisca di due terzi dei beni. L’imputato ricorre in Cassazione. Il 9 febbraio 1948 la Cassazione ha annullato la sentenza parzialmente e rinvitato per nuovo esame alla Corte d’Assise di Roma.

Sezione 3 - Parti lese

Numero: 46
Elenco: Antonio Paolo Rosso, Florestano Cailli, Mario Tomsich, Ethen Netcher, Massenzio Masia, Don Silingardi, Don Beccari, Enrico Figliocchi, Luciano Zocca, Ennio Maniga, Zanti, Calvi, Iovi, Cigarini, Ferrari, Brandi, Pietro Mariotti, Don Gerardo Patrignani, sergente Marcello Lisa, Tenente Colonnello Alessandro Marino
Uomini: 45
Donne: 1
Partigiani: 28
Militari: 2
Renitenti alla leva: 7
Carabinieri: 1
Religiosi: 3
Altre: 1
Sezione 4 - Imputati

Armando Rocchi